venerdì 16 settembre 2016

HUME (ripasso)

Il 16/09/2016 la classe VªP (Liceo linguistico "A. Gramsci"- Olbia) ha svolto la prima lezione di filosofia.

Dopo che la professoressa ha assegnato il ripasso del filosofo Hume alla classe, ha deciso di sottoporla ad un gioco a squadre. Le squadre corrispondevano ai vari gruppi già composti lo scorso anno dalla professoressa Demuro e si componevano nel seguente modo:


 Iª Squadra
 IIª Squadra
 IIIª Squadra
 IVª Squadra
 Vª Squadra
Aurora F.
Sofia M.
Giulia M.
Silvia B.
Martina M.
Laura R.
Caterina C.
Gaia D.
Denisa N.
Margherita R.
Eleonora C.
Fabiana D.
Dalila G.
Francesca S.
Silvia C.
Giovanni P.
Valeria S.
Claudia S.
4 biglietti vinti4 biglietti vinti3 biglietti vinti 5 biglietti vinti 5 biglietti vinti

 Ogni squadra ha estratto da un sacchetto un bigliettino, il quale conteneva una frase o una parola riguardante la filosofia di Hume. I bigliettini contenevano le seguenti parole / frasi:

"effetto"
"impressioni complesse"
"sostanza"
"scetticismo moderato"
"principio assoluto"
"impressioni"
"dio"
"esperienza"
"necessità oggettiva del principio di causa/effetto"
"verità empirica certa assolutamente"
"giustificazioni a priori del principio di causalità non oggettiva"
"principio di associazione"
"causa"
"idee innate"
"spazio e tempo"
"inferenza per induzione"
"ragione prevale su sentimento"
"credenza"
"idee"
"leggi della natura immutabili"
"descrizione"
"abitudine"
"sentimento"
"fascio di impressioni"

Ogni gruppo dopo aver letto il bigliettino doveva affermare se quelle frasi e/o parole appartenessero alla parte distruttiva o costruttiva della teoria della conoscenza di Hume.



Giovanni Petta VªP

domenica 3 aprile 2016

Critical thinking: Generalizzare con cautela

         

   ''Esistono tre tipi di bugie: le bugie, le bugie sfacciate e le statistiche.''
                                                                                                                   (Benjamin Disraeli)

Nel Nuovo Organo, Bacone elabora un modo per compiere corrette generalizzazioni: il metodo induttivo.
Possiamo dire che ai giorni d'oggi le generalizzazioni hanno assunto una veste matematica, soprattutto sotto forma di leggi, statistiche e percentuali, che si utilizzano per rafforzare argomentazioni in un dibattico pubblico.
Come si dice sempre, ''la matematica non è un'opinione''!
Possiamo smentire questa frase?
Si potrebbe affermare che niente è più oggettivo dei numeri; questo non toglie però che molte volte, essi sono usati in modo manipolatorio per confondere le idee delle persone.


giovedì 17 marzo 2016

''Un vero ricercatore non ripone intatto nella memoria il materiale fornito dalla storia della natura e dagli esperimenti meccanici, ma lo conserva mutato e digerito nell'intelletto.'' 

                                                                                                                              (F. Bacone)



Lo stretto rapporto tra la scienza e la tecnica, viene teorizzato dal filosofo inglese Francesco Bacone (1561-1626). Egli è stato un filosofo, giurista e saggista inglese, vissuto alla corte inglese sotto il regno di Elisabetta I Tudor e di Giacomo I Stuart. Può essere considerato una sorta di ''profeta della società industriale''.

La prima cosa che notiamo, leggendo un testo di Bacone, é l'importanza che egli da alla sua complessa metodologia scientifica, che può essere indicata come ''metodo baconiano''.

Il suo metodo fu rivoluzionario e molto moderno per i tempi in cui visse.
La sua modernità, stava nella ''scientia activa''.

Ma cos'è la scientia activa?

La scientia activa è il riconoscimento del valore produttivo della conoscenza scientifica e la convinzione che le applicazioni del sapere scientifico abbiano un ruolo più che determinante per il progresso del genere umano.

Nella sua opera più famosa, Novum Organum, Bacone critica la filosofia basata sulla deduzione, considerata improduttiva perchè slegata all'esperienza.
Il sapere deve basarsi sull'osservazione dei fatti che si svolgono in natura, e arrivare alle proprie conclusioni mediante l'induzione.

Con la corretta induzione, possiamo arrivare alla stretta conoscenza delle cose: questo con gradualità e ordine.

Per fare tutto questo, però, è necessario eliminare dalla nostra mente tutti i pregiudizi (idòla) che offuscano il nostro intelletto e limitano la corretta azione che dobbiamo compiere.
Vi sono quattro tipi di pregiudizio secondo Bacone:

  • Gli idoli della tribù, che danno troppa importanza all'esperienza sensibile, e vedono un finalismo della natura. Inducono l'uomo ad afferrare ciò che è più vicino e più facile;
  • Gli idoli della spelonca,sono i pregiudizi che appartengono al nostro inconscio, propri di ciascun individuo, dipendenti dalla sua educazione, dal suo stato sociale,dalle sue abitudini e dal caso;ciò significa che siamo portati a proiettare negli altri noi stessi (non siamo obiettivi);.
  • Gli idoli del foropregiudizi derivanti dal linguaggio e dai suoi equivoci;
  • Gli idoli del teatropregiudizi che derivanodalle dottrine filosofiche del passato.


Non è tutto! Del metodo induttivo di Bacone fanno parte due tipi di tavole: le tavole di presenza e le tavole di assenza.
Queste tavole, consentono di formulare un'ipotesi che verrà messa alla prova da esperimenti, chiamati istanze prerogative.
Tavole di presenza: raccolta di casi in cui lo stesso fenomeno si presenta nonostante situazioni diverse.
Tavole di assenza: raccolta di casi in cui lo stesso fenomeno non presenta, nonostante tutto, situazioni simili.


                                                                                                                             Giulia Murdeu IV^P

sabato 12 marzo 2016

PENSIERO POLITICO DI TOMMASO MORO

TOMMASO MORO ( THOMAS MORE )


Con Thomas More , latinizzato in Tommaso Moro ( 1480 - 1535 ) gli ideali umanistici si diffondono in Inghilterra con gli stessi caratteri che avevano avuto in Italia nel Quattrocento : gli studi letterari non devono mettere capo a un' oziosa erudizione , ma promuovere un fattivo impegno nella realtà civile . Questo impegno More lo testimoniò con la vita : cancelliere del regno , egli fu condannato a morte da Enrico VIII per essere rimasto fedele alla Chiesa cattolica , quando il re , per risposarsi , chiese al papa , senza ottenerlo , l' annullamento del precedente matrimonio . Carattere politico ha anche l' opera più nota di More ,Utopia ( 1517 ) . In essa More delinea , sulla scia di quanto già aveva fatto Platone, il suo ideale politico , che immagina realizzato in un' isola chiamata appunto Utopia , cioè il " non luogo " ( dal greco " ou " , non , + " topos" , luogo ) o " luogo che non esiste " . Di qui l' uso del termine per indicare ogni progetto socio-politico che abbia un valore esclusivamente ideale , non trovando concreta realizzazione da nessuna parte del mondo . E' interessante notare la distinzione tra i due aggettivi , utopico e utopistico che derivano dal progetto politico di More ; "utopistico" è un qualcosa di negativo che si pretende realizzabile , ma che per fortuna non lo è : utopistico è il Comunismo russo ."Utopico" è un concetto tipicamente progressista che induce a vedere il mondo , che molti credono buono così come è , imperfetto e migliorabile : il progressista ha un atteggiamento sempre volto al cambiamento . Tornando a More , alla base della sua costituzione ideale egli pone il rifiuto della proprietà privata, come già aveva fatto Platone, che é principio di egoismo e di conflitto . Gli abitanti di Utopia , del resto , non lavorano a scopo di lucro , ma soltanto per provvedere ai beni necessari alla propria esistenza . In questo modo , dal momento che tutti esercitano un lavoro manuale ( pure le donne ) , le ore di attività possono essere ridotte a sei al giorno . Rimane così molto tempo per l' educazione : particolare attenzione viene riposta nello studio delle scienze naturali e della filosofia morale , mentre sono trascurate discipline astratte come la logica e la metafisica . Dal punto di vista politico - amministrativo i cittadini dell' isola sono divisi in 54 comunità cittadine , rette da funzionari eletti democraticamente : ma nei casi di decisioni gravi viene convocata l' assemblea dell' intera popolazione . Da notare che il carattere politico di Thomas More é in rapporto con la situazione storica che si veniva creando nell' Inghilterra del '500 : in seguito all' appropriazione delle terre da parte dell' aristocrazia ( con gli " enclosure acts " ) e alla sostituzione dei vasti pascoli alla cerealicultura , i signori traevano più lauti guadagni dall' industria della lana , mentre i contadini erano gettati nella miseria ; onde , come More osservava amaramente , " i montoni divorano gli uomini " ; nella città ideale di Utopia , invece , non c'é miseria nè disuguaglianza : il lavoro é obbligatorio per tutti e ognuno lavora per la comunità . La comunione dei beni libera ciascuno dal bisogno e dalla paura , assicura cioè a tutti la vera ricchezza . Le magistrature a Utopia sono elettive e ciascuno , dopo le sei ore di lavoro quotidiano , é libero di coltivare il proprio spirito . A Utopia non potrà mai accadere , come invece accade nelle altre città , che uomini ricchi , privi di cultura e di moralità , comandino su persone colte e virtuose , nè che vi si accendano e si esasperino le lotte e gli egoismi . Per quel che concerne la religione, si tratta di una religione naturale , a fondo monoteistico ; pur professando religioni diverse , gli abitanti di Utopia ( gli utopisti ) riconoscono nei vari dei un unico Dio ; ciascuno é libero di professare la sua religione e può anche fare opera di proselitismo , ma senza usare mezzi coercitivi : chi li usa é condannato all' esilio o alla servitù . Tuttavia nell' opera traspare un netto rifiuto dell' ateismo da parte di Tommaso Moro ; se é vero che ad Utopia vige la più totale libertà di culto religioso , é altrettanto vero che gli atei sono esclusi ; essi , infatti , sono , secondo Moro , i più intransigenti e intolleranti : vogliono a tutti i costi inculcare nelle menti altrui le proprie concezioni . Il legislatore di Utopia si é di proposito rifiutato di legiferare in materia religiosa e di imporre particolari riti o credenze perchè forse Dio stesso ama la varietà e la molteplicità dei culti. Questo motivo , che più che di tolleranza può essere considerato di vera libertà , deriva direttamente , nell' immagine e nell' espressione , da Cusano e da Ficino: é il motivo che sfronda le diverse ispirazioni religiose dei propri elementi differenziali e le risolve , in definitiva , in un' unica religione entro i limiti della ragione . Può sorprendere che ad affermarlo sia chi , come More , é animato da una particolare fede , quella cattolica , e per essa ha anche affrontato , con serenità , il martirio . Ma in realtà la riforma di More é realizzata nell' immaginario stato di Utopia , vale a dire fuori dallo spazio , nella pura ragione del pensiero , non é riforma propriamente volta ad operare in concreto in una concreta società .

Riassunto di UTOPIA

Perchè il nome Utopia: La parola Utopia venne usata per la prima volta da Tommaso Moro, che in una sua opera del 1516 esponeva le usanze, le abitudini e i costumi del popolo dell'isola di Utopia, del quale sentì parlare da un marinaio; la controversia sull'origine del nome è dovuta al fatto che nell'opera di Moro viene presentata una società che ha entrambe le caratteristiche. L'origine più probabile rimane comunque quella di "non luogo", in quanto era intento dell'autore descrivere una società che fosse in qualche modo perfetta, ma che purtroppo fosse anche impossibile da realizzare.

Il libro inizia con una lettera indirizzata ad un suo amico, Pietro, con il quale ascoltò il racconto sull'isola di Utopia; in questa lettera Moro chiede se per favore Pietro potesse correggere la sua trascrizione del racconto, allo scopo di evitare che ci possano essere degli errori. Di seguito alla lettera inizia la vera opera, che è divisa in due libri. Nel primo libro Moro descrive il suo incontro ad un ricevimento con l'amico Pietro, che coglie l'occasione per presentargli un personaggio che sicuramente sarebbe interessato all'autore, un marinaio esperto conoscitore di terre lontane a causa dei suoi lunghi ed innumerevoli viaggi: Raffaele Itlodeo. Dopo aver fatto conoscenza i due, assieme a Pietro, decidono di ritirarsi in un posto appartato e di iniziare a discutere. Durante la prima parte del dialogo vengono analizzati i vari problemi della monarchia inglese, discussione che sorge dal diverbio successivo alla proposta di Moro secondo cui Itlodeo poteva essere utile in carica di consigliere per un sovrano europeo in quanto era dotato di buon senso e di esperienza, essendo rimasto per cinque anni nell'isola di Utopia. In realtà il motivo per cui Itlodeo rifiuta ritenendo di non essere adeguato all'incarico è proprio il fatto di aver vissuto per un così lungo tempo in quella società: egli sa bene, infatti, che il modello utopico fosse irrealizzabile in qualsiasi altro stato a causa delle sue caratteristiche. Fra i problemi individuati vengono messi in risalto: la nobiltà parassitaria e i lati negativi della proprietà privati fra i quali, soprattutto, la divisione che faceva tra ricchi e poveri. Questi ultimi, infatti, erano fortemente dipendenti dalla nobiltà che li costringeva a mendicare e a fare lavori poco retribuiti. Inoltre viene trattato la questione della pena di morte e il fatto che, con questa, fossero puniti anche i ladri che erano in molti casi costretti a rubare per necessità. In generale possiamo dire che vengono trattai tutti quei problemi cui, nel secondo libro, tramite la narrazione del racconto di Raffaele Itlodeo, Moro cerca di dare una soluzione pur sapendo che l'isola da lui ipotizzata è del tutto irrealizzabile. Nella seconda parte dell'opera - che coincide con il secondo libro - il discorso di Itlodeo si sposta sulla descrizione dell'isola secondo i suoi più vari aspetti.

Claudia Sanna IV P

PENSIERO POLITICO DI TOMMASO CAMPANELLA

TOMMASO CAMPANELLA

IL PENSIERO DI CAMPANELLA

Nato a Stignano, in provincia di Reggio Calabria, Campanella fu un ragazzo prodigio. Figlio di un calzolaio povero ed illetterato, prese gli Ordini Domenicani non ancora quindicenne, con il nome di frà Tommaso in onore di San Tommaso d'Aquino. Studiò teologia e filosofia con diversi maestri. Subito dopo, cambiò idea sull'ortodossia aristoteliana e fu attratto dall'empirismo di Bernardino Telesio, il quale gli insegnò che la conoscenza è sensazione e che tutte le cose naturali ne possedevano. Campanella scrisse la sua prima opera, Philosophiasensibusdemonstrata (Filosofia dimostrata dai sensi), pubblicata nel 1592, difendendo Telesio. Nello stesso anno subì un processo da parte del suo stesso ordine e tra il 1594 e il 1595 venne inquisito e torturato a Padova e Roma. Il processo inquisitoriale si concluse con l'abiura e la condanna per sospetto veemente di eresia da parte della Congregazione del Sant'Uffizio. A Napoli venne in contatto con l'astrologia, i riferimenti astrologici infatti sarebbero diventati una caratteristica costante nei suoi scritti. Le concezioni non ortodosse di Campanella - specialmente in contrasto con l'autorità di Aristotele - lo portarono in conflitto con la Chiesa. Denunciato all'Inquisizione e citato presso il Sant'Uffizio a Roma, fu confinato in un convento fino al 1597. Dopo la sua liberazione, Campanella tornò in Calabria, e si fece portatore di una cospirazione contro il potere spagnolo a causa della quale fu ordinata la chiusura, per decreto del vicario Pedro di Toledo, dell'Accademia Cosentina. Lo scopo di Campanella era quello di formare una società basata sulla comunità dei beni e delle mogli (in somiglianza allo stato ideale di Platone), poiché, sulle basi delle profezie di Gioacchino da Fiore e sulle sue osservazioni astronomiche, predisse l'avvento di una catastrofe che avrebbe rinnovato il mondo dello spirito nell'anno 1600. Tradito da due compagni cospiratori, fu preso ed incarcerato a Napoli. Fingendo problemi mentali riuscì a fuggire la pena di morte, ma fu condannato all'ergastolo. Campanella trascorse 27 anni in prigione a Napoli. Durante la prigionia scrisse le sue opere più importanti: "La Monarchia di Spagna" (1600), "Aforismi Politici" (1601), "Atheismustriumphatus" (1605-1607), "Quodreminiscetur" (1606?), "Metaphysica" (1609-1623), "Theologia" (1613-1624), e la sua opera più famosa, La città del sole (1623), in cui vagheggiava l'instaurazione di una felice e pacifica repubblica universale retta su principi di giustizia naturale.

Il pensiero di Campanella prende le mosse, in età giovanile, dalle conclusioni cui era giunto Bernardino Telesio; egli si riallaccia quindi al naturalismo telesiano, sostenendo che la natura vada conosciuta nei suoi propri principi, che sono tre: caldo, freddo e materia. Essendo tutti gli esseri formati da questi tre elementi, allora gli esseri della natura sono tutti dotati di sensibilità, in quanto la struttura della natura è comune a tutti gli enti; quindi mentre Telesio aveva affermato che anche i sassi possono conoscere, Campanella porta all’esasperazione questo naturalismo, e sostiene che anche i sassi conoscono, perché nei sassi noi ritroviamo questi tre principi, ovvero caldo, freddo e massa corporea(materia). Il naturalismo di Campanella, in conseguenza di ciò, comporta una gnoseologia essenzialmente sensistica: egli sosteneva infatti che tutta la conoscenza è possibile solo grazie all'azione diretta o indiretta dei sensi, e che Cristoforo Colombo aveva potuto scoprire l’America perché si era rifatto alla sensazione, non di certo alla razionalità. La razionalità deriva dalla sensazione: non esiste una conoscenza razionale intellettiva che non derivi da quella sensitiva. Tuttavia Campanella, a differenza di Telesio, cerca di rivalutare l’uomo e pertanto afferma l'esistenza di due tipi di conoscenze: una innata, una sorta di autocoscienza interiore, e una conoscenza esteriore, che si avvale dei sensi. La prima è definita ‘sensusadditus’, che è la conoscenza di sé, la seconda ‘sensusabitus’, che è la conoscenza del mondo esterno. La conoscenza del mondo esterno appartiene a tutti, anche agli animali; la conoscenza di sé, invece, appartiene solo all’uomo, ed è la coscienza di essere un essere pensante. Campanella si rifà ad Agostino d'Ippona, poiché afferma che noi possiamo dubitare della conoscenza del mondo esterno, mentre non possiamo dubitare della conoscenza di sé. Questo ‘sensusadditus’ sarà poi il punto essenziale della filosofia cartesiana, che si basa sul ‘cogito’: io penso quindi esisto (cogito ergo sum). Secondo Campanella, i tre principi, materia, caldo e freddo, di cui è composta la natura, sono frutto della creazione divina. Questo Dio però, a differenza del Dio di Telesio, che non si interessava del mondo, si manifesta continuamente nel mondo, attraverso le tre primalità: Potenza, Sapienza e Amore. A queste tre primalità si contrappongono quelle che noi chiamiamo le ‘potenze negative’, che possono variamente combinarsi alle primalità nell'ambito delle varie forme della magia che secondo Campanella governa tutte le cose del mondo. Essa fa orientare l’opera divina verso il bene oppure può contrastare l’opera divina, a seconda che sia una magia divina, cioè una manifestazione di Dio, o una magia diabolica, quindi che contrasta l’opera di Dio; esiste poi una magia umana, che può essere sia di discendenza divina che di discendenza diabolica. Come si manifesta questa magia? La magia si manifesta attraverso delle sensazioni, che possono essere negative o positive: sensazioni che l’uomo coglie, e che gli fanno capire di essere parte integrante di un ordine universale; tuttavia, nonostante sia parte di questo ordine, può opporsi a tale ordine, e se si oppone all’ordine universale la magia è negativa, se invece si armonizza, ovvero cerca di seguire l’ordine universale, allora la magia è positiva. In base a queste premesse, Campanella si sofferma sulla religione che egli distingue in due tipologie: una religione naturale e religioni positive. La religione naturale è una religione che rispetta l’ordine universale dell’universo stesso; le religioni positive sono invece religioni che vengono imposte dallo stato. Poiché però, affermando questo, Campanella poteva essere condannato per eresia, forse per sfuggire alla condanna egli sostenne che religione cristiana è l’unica religione positiva, poiché è imposta dallo stato, ma al contempo coincide con l’ordine naturale (cui però aggiunge il valore della rivelazione). Tuttavia anche questa teoria della religione razionale contrastava con i dogmi della Chiesa della Controriforma. Egli sostenne, del resto, la superiorità del potere temporale su quello spirituale, individuando poi il potere supremo, di volta in volta, nella Spagna e poi nella Francia, a seconda di convenienze politiche e personali. Campanella fu autore anche di una importante opera di carattere utopistico, ovvero La Città del Sole. Nella Città del Sole egli descrive una città ideale, utopistica, governata dal Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale, di cui Campanella stesso è sostenitore, pur presupponendo razionalmente che coincida con la religione cristiana. Questo re-sacerdote si avvale di tre assistenti, rappresentanti le tre primalità su cui si incentra la metafisica campanelliana: Potenza, Sapienza e Amore. In questa città vige la comunione dei beni e la comunione delle donne. Nel delineare la sua concezione collettivista della società, Campanella si rifà a Platone (V sec. a.C.) e all'Utopia di Tommaso Moro (1517); fra gli antecedenti dell'utopismo campanelliano è da annoverare anche la Nuova Atlantide di Bacone. L'utopismo partiva dal presupposto che, poiché non si poteva realizzare un modello di Stato che rispecchiasse la giustizia e l’uguaglianza, allora questo Stato si ipotizzava, come aveva fatto a suo tempo Platone; però è importante mettere in evidenza che, mentre Campanella tratta una realtà utopistica, Niccolò Machiavelli esalta realtà concreta o effettuale, e la sua concezione dello Stato non è affatto utopistica, ma assume una valenza di concreto metodo di governo della cosa pubblica.

Rimangono tuttora aperti molti aspetti della sua ricerca intellettuale, estremamente articolata e con sfaccettature a volte contraddittorie.

LA CITTA' DEL SOLE

La città del sole fu scritta dal filosofo italiano Tommaso Campanella (Stilo di Calabria 1568 - Parigi 1639), appartenente all’Ordine dei Domenicani, nel 1602. A questa prima edizione in italiano, ne seguirono altre sia in volgare che in latino: una soprattutto, pubblicata nel 1623 a Francoforte col titolo di Civitas Solis idea republica e philosophica, ebbe grande fortuna.

L’opera consiste in un dialogo tra un cavaliere di Malta e un ammiraglio genovese, il quale ha appena fatto ritorno dal giro del mondo ed espone al suo interlocutore la vita di una città, chiamata Città del sole, che si trova sulla linea dell’Equatore. Il dialogo, che si ricollega alla tradizione della Repubblica di Platone e di Utopia di Tommaso Moro, serve a Campanella per illustrare la sua teoria ideale sulla migliore forma di governo. La città, spiega l’ammiraglio, si trova sull’isola di Taprobana (che i critici fanno corrispondere all’isola di Ceylon) ed è eretta su un alto colle; è circondata da sette cerchia di mura, praticamente inespugnabili, ognuna delle quali porta il nome di uno dei sette pianeti, mentre le entrate per accedere alla città sono quattro, situate in corrispondenza dei quattro punti cardinali. Alla sommità del monte si trova un tempio di forma circolare, consacrato al Sole, sulla cui volta sono dipinte le stelle maggiori.

Sole, o Metafisico, è anche il nome del sacerdote capo della città che esercita un potere assoluto, civile e religioso, anche se è assistito da tre principi: Pon (Potenza), Sin (Sapienza) e Mor (Amore). Pon si occupa delle arti militari e della guerra; Sin si occupa dell’istruzione; Mor presiede a tutto ciò che riguarda la generazione, ma anche la salute, l’alimentazione, il vestiario. La società si basa sulla comunione dei beni (le donne vengono di fatto incluse, da Campanella, in questa categoria, visto che il filosofo parla del loro “uso comune” e “commerzio”). Secondo il filosofo è infatti la proprietà privata a scatenare i conflitti tra diversi membri della società: eliminata la proprietà si eliminano anche tutti i reati legati ad essa. Nella Città del sole non esistono servi e padroni, a tutti si insegnano le stesse arti che hanno tutte pari dignità; le mense, così come i dormitori, i posti di ricreazione, i vestiti, sono comuni. Anche i figli vengono cresciuti in comune.

Particolarmente seguite sono l’educazione e la generazione. La prima è rivolta a tutti i membri della società ed inizia all’età di tre anni per proseguire poi nell’arco di tutta la vita: i solari, infatti, lavorano solo quattro ore al giorno per dedicarsi poi all’apprendimento e alla preghiera. Qualunque sia la professione di un solare, questi deve comunque avere conoscenze di agricoltura, pastorizia e arti militari (uomini e donne sono ugualmente addestrati alle armi e istruiti allo stesso modo, con la sola differenza che alle donne si riserva la parte meno faticosa). Disprezzato è invece il commercio e i pochi scambi che avvengono sono sotto forma di baratto. La generazione è regolata da leggi molto precise: le donne non possono dedicarvisi prima dei diciannove anni, gli uomini prima dei venti. Vari funzionari hanno poi l’incarico di combinare gli accoppiamenti al fine di migliorare la razza sotto l’aspetto fisico.

Per quel che riguarda la politica, tutti i solari con più di vent’anni partecipano alle assemblee e possono esprimere le loro rimostranze; le leggi sono brevi e chiare e non esistono lunghi processi o pene detentive: per punire si ricorre alla legge del taglione. La religione dei solari è, invece, una specie di cristianesimo naturale: essi onorano l’universo perché testimonianza di Dio, credono nell’immortalità dell’anima, ma non hanno certezze in merito a eventuali luoghi di pena o di premio.

Come si vede ne La città del sole ogni singolo aspetto della vita è rigidamente regolato, un dato che l’opera di Campanella condivide con pressoché tutte gli scritti concernenti società utopiche: un eccessiva insistenza sull’ordine e la disciplina che quasi annienta le libertà individuali (basti pensare, ne La città del sole, all’atto della generazione: non solo gli accoppiamenti sono decisi dai funzionari, persino le ore degli incontri sono determinate). Una volontà i controllare tutti gli aspetti della vita umana che agli occhi moderni possono far apparire le varie isole utopiche ben poco attraenti.

Sarebbe però un errore decontestualizzare lo scritto del filosofo calabrese, come quelli di Moro o Bacone, per esempio, dal periodo storico nel quale essi vennero alla luce. Queste opere rappresentano il grande fermento culturale, politico e sociale di quegli anni; sono il risultato concreto di una grande aspirazione al cambiamento, al rinnovamento della società dell’epoca. Nel caso specifico di Campanella, non va dimenticato come, pochi mesi prima della stesura del libro, egli avesse organizzato una congiura che mirava alla liberazione della Calabria dal dominio spagnolo, all’abolizione della proprietà, all’instaurazione di una democrazia di tipo comunistico e teocratico, proprio come esposta nelle pagine de La città del sole. La congiura fu però presto scoperta e il suo artefice evitò la condanna a morte soltanto fingendo la pazzia; sopportando le torture a cui fu sottoposto per smascherare la sua finta follia, riuscì a commutare la condanna nel carcere a vita. Rimase in galera per ventisette anni, nei quali scrisse le sue opere maggiori.


L’opera del filosofo domenicano è quindi una preziosa testimonianza della sua passione e delle sue speranze di fronte ad una realtà presente dal carattere tragico. È un’opera che registra alla perfezione le ambizioni delle menti più pronte d’Europa nel diciassettesimo secolo, di fronte al declino irreversibile del sistema feudale (cancellato dai nuovi processi economici che stavano per dare origine al capitalismo); di fronte alle nuove scoperte geografiche; di fronte alla fine dell’unità spirituale dovuta alla Riforma; di fronte al progresso scientifico delle teorie di Copernico, di Galilei, di Bruno.



Claudia Sanna IV P 

PENSIERO POLITICO DI NICCOLO' MACHIAVELLI

NICCOLO' MACHIAVELLI

IL PENSIERO POLITICO

Le concezioni politiche di Machiavelli non sono quelle di un teorico, ma scaturiscono da un rapporto diretto con quella realtà storica che conosce bene e nella quale ha avuto parte attiva. Alla base di tutta la sua riflessione c’è la consapevolezza della crisi che l’Italia sta attraversando; una crisi che è, innanzitutto, politica poiché, come bensì ricorderà, l’Italia non è un Paese unitario, ma un insieme di piccoli Stati; è, in secondo luogo, una crisi militare, poiché si basa ancora su una milizia di “mercenari”che, contrariamente a quelli “cittadini” non possono assolutamente garantire fedeltà e obbedienza; infine, è una crisi morale poiché sembrano scomparsi quasi del tutto quei valori,come l’amor di patria e lo spirito di sacrificio che, invece, erano una caratteristica dell’antica Roma. Per tutti questi motivi,Machiavelli auspica la presenza di un principe dalle straordinarie virtù, che possa fare dell’Italia uno Stato forte e unitario, in grado di contrastare le mire espansionistiche degli stati vicini. Machiavelli è stato considerato il fondatore della moderna scienza politica. C’è, però, da precisare un aspetto; durante il Medioevo la teoria politica era subordinata alla morale; il sovrano ideale era, quindi, colui che si comportava secondo le norme etiche. Al contrario, Machiavelli considera la politica come una scienza autonoma che ha delle proprie leggi; di conseguenza, le azioni degli uomini vanno valutate in base a queste leggi. In questo senso ciò che importa è il raggiungimento o meno, da parte del principe, dei fini propri della politica e non l’essere giusto o ingiusto. All’interno della cultura occidentale questa teoria fu sconvolgente, poiché Machiavelli fu sicuramente l’unico ad avere il coraggio di mettere in luce ciò che avviene realmente nella politica. Nella composizione delle sue opere e in tutta la sua vita conta molto l’esperienza,l’osservazione diretta della realtà. Per Machiavelli l’esperienza può essere di due tipi:quella diretta, ricavata dalla partecipazione attiva alle vicende presenti e quella ricavata dalla lettura degli autori antichi. Questi due tipi di esperienza vengono definite nella dedica del Principe, rispettivamente “esperienza delle cose moderne” e“lezione delle antique”.
 

LA CONCEZIONE NATURALISTICA DELL'UOMO E IL PRINCIPIO DI IMITAZIONE

Alla base di questo modo di accostarsi alla storia vi è una concezione tipicamente naturalistica; infatti, Machiavelli è convinto che l’uomo sia un fenomeno di natura come tutto il resto, pertanto non è soggetto a cambiamenti nel tempo. Per questo motivo è convinto che studiando il comportamento umano attraverso le fonti storiche o l’esperienza diretta, si possa arrivare a formulare delle leggi universali, applicabili ad ogni situazione. Gli esempi che trae dalla storia antica sono la prova che il comportamento umano non varia e che l’agire degli antichi può offrire un modello al nostro agire d’oggi. Possiamo quindi dire che anche Machiavelli sfrutta il principio tipicamente rinascimentale dell’imitazione.
 

GIUDIZIO PESSIMISTICO SULLA NATURA

Machiavelli ha una concezione pessimistica dell’uomo come essere morale. Infatti, per lui gli uomini sono essenzialmente malvagi, sono guidati da interessi materiali ed egoistici e non da reali valori civili. Pertanto, l’uomo politico deve agire su questo terreno; dovendo agire in un mondo di “non buoni” deve essere pronto a vestire più panni. Non può e non deve sempre vestire i panni dell’ideale e della virtù ma, quando le circostanze lo richiedono, deve saper essere umano o feroce. Usando una metafora,si deve essere “centauri”, metà uomo e metà bestia. E l’affermazione “il fine giustifica i mezzi” cosa significa? Certamente con queste parole Machiavelli non vuole “rendere lecito” ogni comportamento immorale e crudele; si tratta solo della constatazione che certi comportamenti, buoni o cattivi che siamo, sono indispensabili per conquistare e mantenere lo Stato. Commettere crudeltà e violenze, tradire e mentire sono delle tristi necessità con cui il politico deve fare i conti se vuole perseguire l’utile della comunità. A questo proposito Machiavelli fa una distinzione tra “principe” e “tiranno”;il principe è colui che opera a vantaggio dello Stato e anche se usa metodi immorali lo fa per il bene pubblico; tiranno, invece, è colui che è crudele senza necessità ma solo per trarne un vantaggio personale. Il principe che Machiavelli immagina non è, pertanto, un despota folle, ma uno strumento al servizio dei sudditi, in quanto costruisce uno stato ben ordinato che garantisca ai cittadini tranquillità e benessere. Solo lo Stato può arginare la malvagità e l’egoismo dell’uomo che spingerebbe la comunità nel caos. La crudeltà e la violenza del principe servono, allora, a garantire questo bene comune, cioè la salvaguardia della convivenza civile. Per mantenere lo Stato sono indispensabili certe virtù civili come l’amor di patria,l’amore per la libertà, la solidarietà e l’onestà che costituiscono il cemento della vita di società. Ma per radicare in uomini “non buoni” queste virtù sono necessarie delle precise istituzioni, che Machiavelli indica nella religione, nelle leggi e nelle milizie:

•La religione non è intesa da Machiavelli né nella sua dimensione concettuale,come contenuto di verità, né nella sua dimensione spirituale, come garanzia di salvezza, ma come “instrumentum regni”, cioè come strumento di governo. Infatti la religione, in quanto fede in certi principi comuni obbliga i cittadini a rispettarsi e a mantenere la parola data. Questa era la funzione della religione tra i Romani che, secondo Machiavelli,con i suoi insegnamenti induceva alla forza, al coraggio e allo sprezzo del pericolo, che poi sono i fondamenti del vivere civile. Al contrario, critica la religione cristiana accusandola di aver esercitato un’influenza negativa,in quanto ha spinto gli uomini alla mitezza e alla rassegnazione.

•Le leggi sono il fondamento del vivere civile perché disciplinano il comportamento dei cittadini, frenano i loro istinti bestiali e li guidano verso fini superiori.


Inoltre, per Machiavelli, la situazione umana nel cui ambito si esprime la politica è caratterizzata dalla dialettica ordine-disordine, nel senso che l’ordine è continuamente insidiato dal disordine, per il quale l’uomo sembra avere una vocazione e nel contempo l’ordine nasce dal disordine. Il fatto che la politica sia caratterizzata dal continuo mutamento dipendono dalla natura dell’uomo. L’uomo è strutturato in modo da aspirare costantemente a volere tutto, mentre dispone di mezzi limitati che gli consentono di conseguire poco. Motivo per cui l’uomo vive in uno stato di perenne incontentabilità che lo spinge a volere sempre di più e modificare le situazioni nelle quali si trova. L’incontentabilità che caratterizza l’animo umano porta l’uomo ad oscillare tra la noia e il dolore. La natura umana fa si che l’uomo si tormenti nel male; così l’uomo si toglie dal male e dal tormento e ricerca il bene, ma quando è stato conseguito non soddisfa più l’uomo, anzi gli riesce del tutto insopportabile così che si toglie dal bene per tornare nel male. 


Claudia Sanna IV P